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I mestieri perduti
Sono quei mestieri spazzati via dal tempo o a rischio di estinzione, soggiogati dalla globalizzazione e dall’indifferenza della moderna società. Figli di un passato incapace di resistere all’evoluzione dei tempi o solo perché vittime di generazioni che non hanno saputo conservare quei legami con il passato, con la propria cultura.
Tanti e in ogni settore, dall’agricoltura all’artigianato, al commercio. C’è di tutto nel paniere dei mestieri scomparsi.
*I mestieri della cantina
Un mondo unico, fatto di professionalità, esperienze, vite vissute tra una vendemmia e un lento e importante processo di vinificazione. Questi i più ricorrenti:
· U vignarul Persona di fiducia del proprietario della vigna;
· U tnllàr L’operaio più esperto che riempiva i tinelli;
· U carrtter L’addetto al trasporto che utilizzava i carretti;
· U fraccatòr L’operaio che, dopo essersi tolte le scarpe, provvedeva alla pigiatura dell’uva contenuta nel palmento (vasca rettangolare di legno speciale);
· Carrèja mantègn (o "brentatori") Perlopiù in numero di tre, sistemavano i vascelli (piccole botti chiamate anche mantègn o benta)
Poi i mestieri di tutti i giorni
I carlantini
Erano gli operai utilizzati per riempire e svuotare le fosse granarie.
Il lattaio
Era l’allevatore di mucche che poi rivendeva al dettaglio il latte. Prima portando i bovini in città e poi distribuendo il latte in contenitori in metallo e annunciato dal suono di una campana.
Il funaio
Lavoro di tradizione familiare che si svolgeva durante il periodo estivo dopo la raccolta della canapa macerata in acqua e poi asciugata al sole perché acquistasse più solidità. Un grande lavoro di precisione svolto quasi sempre davanti all’ingresso di casa. Varia l’offerta: da semplici cordicelle alle funi utilizzate nei lavori più pesanti.
Il sanguettaro
Un vero e proprio antesignano per curare gli sbalzi della pressione arteriosa. E per la medicina popolare di allora risultava un ottimo antidoto per alcune patologie legate sempre alla circolazione del sangue come ictus e trombosi. Il sanguettaro raccoglieva o acquistava dai pescatori della vicina laguna di Lesina le sanguisughe conservate in vasetti di vetro e poi poste abitualmente in zone particolari del corpo – soprattutto dietro le orecchie – per succhiare il sangue ai pazienti. Pochi minuti e gli animaletti si rimpinguavano di plasma al punto da assumere forme impressionanti rispetto alle originali. Poi tornavano nel loro vasetto, a smaltire l’…abbuffata mentre il paziente ne traeva benefici di salute.
L’acquaiolo (l’acquarul)
Prima caricando barili su muli e cavalli e poi issando botti su camion percorreva le strade del paese per vendere acqua potabile. La pescava dai pozzi in campagna per poi cederla alle abitazioni o alle piccole attività. Figura man mano estintasi con il progressivo diffondersi delle rete idrica. Il camion dell’acquaiolo ha percorso fino a qualche anno fa le vie periferiche che, per motivi diversi, non erano ancora servite dal servizio pubblico di erogazione dell’acqua potabile. Al posto dei barili e delle botti una cisterna in metallo. Meno tradizionale ma sicuramente più capiente.
Il terrazzano (u trazzn’)
Figura ancora frequente nei mercati ortofrutticoli. Nel passato era colui che rastrellava le campagne per "spigolare" i resti del raccolto nei campi o trovare le erbe spontanee che, per intere generazioni, hanno rappresentato il piatto forte della cucina povera. Erbe che si riproducevano nei pascoli e poi rivendute al mercato. Erbe -
Era il conducente delle carrozze delle famiglie gentilizie, i mezzi di comunicazione più diffusi nei ceti alti. A lui spettava il compito di accudire i cavalli, pulire i finimenti e la stalla. Indossava una livrea con tanto di mantello e cilindro. Col permesso del datore di lavoro, noleggiava la carrozza agli sposi del paese che poi conduceva personalmente.
Il barilaio (u varlàr)
Mestiere legato alla produzione vitivinicola. Diversi i prodotti realizzati: dai barili per il vino, l’olio o addirittura l’acqua, ai mastelli per il trasporto del vino. Anche loro lavoravano in botteghe e, durante la bella stagione, utilizzavano spazi all’aperto dove era possibile ammirarli nella loro arte di lavorare il legno. La scomparsa delle botti e degli utensili in legno per altri mestieri andati perduti ha decretato una drastica riduzione nel numero di queste attività. Attualmente pochi artigiani producono barili in legno venduti come piccoli souvenir o accessori per cucine.
Il banditore
Il suo compito consisteva nell’andare in giro a pubblicizzare prodotti per decantarne i pregi richiamando l’attenzione dei potenziali acquirenti: lo faceva facendosi annunciare da uno squillo di tromba. Frequenti erano i suoi "spot" per la vendita di vino, ma spesso veniva ingaggiato anche da chi aveva smarrito qualche oggetto o per rendere pubblici provvedimenti della Pubblica Amministrazione come ordinanze o disposizioni particolari.
Il carbonaio
Vendeva carbonella o carbone con cui venivano alimentati bracieri e stufe, unici mezzi di riscaldamento per difendersi dal freddo. Cedeva la propria mercanzia lungo le strade utilizzando sacchi di iuta. I carbonai, tramontato l’utilizzo del carbone, si sono convertiti in venditori di bombole a gas.
Il sorgiaro
Utilizzato per derattizzare i campi e salvare i raccolti. Per riuscire nella non facile impresa, utilizzava trappole e sacchi. Alla fine della "caccia" contava le prede al cospetto del proprietario del fondo e incassava la "taglia".
Il vasaio
Produceva mattoni, tegole e accessori per la casa come vasi e pignatte, giare in creta utilizzate soprattutto in cucina. I laboratori si trovavano soprattutto in periferia. Realizzava anche formine utilizzate dai più piccoli nei loro giochi.
L’ombrellaio
Artigiano specializzato nella riparazione di ombrelli. Girava in città con il suo laboratorio ambulante pronto a sostituire stecche o tele di parapioggia rovinati dal maltempo o dall’usura.
L’arrotino (ammolaforbec)
Al volante di una "bottega ambulante" girava per il paese con un ombrello aperto per proteggersi dalle intemperie o dal sole. La carriola era dotata di una mola in pietra e un contenitore per l’acqua. L’arrotino faceva leva su un pedale che trasmetteva il movimento alla mola tramite una cinta. Sfregandoci sopra forbici, coltelli o lame da arrotare la ruota di pietra spigionava scintille che attiravano l’attenzione di orde di bambini.
Il venditore di olio (u gliarul)
Venditore ambulante che vendeva olio per uso domestico alle famiglie. Tra la mercanzia anche l’olio destinato ad alimentare le lampade in casa quando l’energia elettrica era ancora da inventare.
La mammana (a levatric)
Quando i bambini nascevano ancora in casa, operava l’ostetrica a domicilio. Nel momento in cui si rompevano le acque" o si prospettavano le doglie, arrivava con i suoi attrezzi, preparava la puerpera, la aiutava a far nascere il bambino e poi le applicava i medicamenti. Faceva anche assistenza post parto trascorrendo alcune ore con mamma e figlio non disdegnando anche successive visite.
Il ramaio
Lavorando lastre di rame realizzava pentole, bracieri o accessori per la casa spesso componenti della dote della sposa. Molti di questi lavori fanno ancora bella mostra nelle cucine delle persone più anziane e sono molto gettonate per arredare tavernette o cucine moderne.
La stagnino
Chi non poteva permettersi utensili in rame, optava per quelli realizzati in stagno. E chi produceva questi oggetti spesso stagnava anche i vasi in rame per adattarli alla cottura dei cibi sul fuoco. Un vero e proprio procedimento antesignano delle moderne pentole padelle "antiaderenti".
Cardalana
Artigiano ambulante che si preoccupava i rigenerare i batuffoli di lana che riempivano materassi e guanciali rendendoli più morbidi e voluminosi. Utilizzava un attrezzo chiamato "scardasso".
Il sellaio
Mestiere molto importante quando l’utilizzo di cavalli e animali da soma in genere era molto frequente soprattutto nelle campagne e nei lavori agricoli in genere. Si utilizzava cuoio paglia e corde. Quasi ovunque le botteghe dei sellai si trovavano in periferia, nelle vicinanze delle strade di accesso e uscita dal paese.
Ferracavallo
Il maniscalco che ferrava gli zoccoli del cavallo. Lavoro molto delicato e importante perché il suo lavoro incideva sulla salute degli animali e la sicurezza sul lavoro e durante i viaggi.
Il seggiaio
Impagliatore di sedie.
A lui spettava il compito di rifare il fondo (u funn) rovinato dal tempo e dall’usura.
Utilizzava paglia o vimini per realizzare i suoi prodotti
Venditore di ghiaccio
Il ghiaccio veniva conservato e poi venduto in chioschi o locali posizionati nei luoghi più freschi del centro abitato.
Il canestraio
Fabbricante e venditore di ceste in paglia molto utilizzate nelle case per conservare derrate alimentari o altri prodotti destinati ai consumi della famiglia. Gli ultimi canestrai hanno svolto la loro attività sino a pochi anni fa.
*Lavori svolti da donne
Numerosi sono i lavori svolti da donne che sono scomparsi, attività che ora non esistono più e che lasciarono traccia nella letteratura e nelle cronache dell’epoca, nonché nei censimenti (in parte già considerati) che le indicavano e registravano minuziosamente. Tra questi, sono già stati delineati i profili di balie e mondine, ma molti altri furono i mestieri svolti dalle donne.
Crestaie, merlettaie, lavandaie, fabbricanti di trecce di paglia e trucioli, sorbettiere, bustaie, impiraresse: questi sono alcuni tra i lavori che le donne svolsero e che sono scomparsi, cancellati dal cambiamento di mode e del costume, dal mutare dei tempi e dei gusti, dall’industrializzazione, dalla fretta e dall’urgenza dei tempi moderni.
Al venir meno delle opportunità di lavoro ad essi connessi, le donne che li esercitavano, con la flessibilità che le caratterizza, si trasferirono in altri settori, oppure continuarono a svolgerli per una limitata domanda, fino alla morte, senza trovare successori a cui trasmettere conoscenze, arte, saperi, pratiche.
Il maggior numero di lavori scomparsi effettuati da donne si può individuare nel settore dell’abbigliamento e nel piccolo arredamento.
Il comparto della moda fu, ed è tuttora, uno dei comparti più volubili. Esso conobbe, a partire da metà Ottocento, un notevole impulso causato dall’aumento dei consumi soprattutto nelle città e tra i ceti aristocratici e borghesi.
Il lavoro del cucito, connesso ad un’antica abilità femminile, quella del rammendo, fu caratterizzato, quindi, da una notevolissima espansione e diffusione, poiché ritenuto adatto alle donne, e numerose, dunque, furono le ragazze che si dedicarono a questa attività, anche come alternativa al lavoro domestico.
Il settore, inoltre, in seguito al processo di industrializzazione si caratterizzò per un’evoluzione che ruppe con la tradizione precedente dell’antico e qualificato mestiere del sarto (al maschile) facendone un mondo a sé stante e ponendo le basi per la sua futura struttura stagionale ed effimera.
La produzione, inoltre, divenuta industriale con prezzi conseguentemente alla portata di tutti, incentivò, a sua volta, i consumi e la domanda, che fecero a loro volta crescere i posti di lavoro nel settore e nel suo indotto in maniera esponenziale.
Oltre al lavoro di sarta, che è stato in precedenza descritto, le donne di fine secolo potevano esercitare anche altri mestieri connessi al fashion, molti dei quali ora appunto non esistono più. L’industrializzazione e la divisione del lavoro, inoltre, avevano creato una serie di mansioni parziali e dequalificate che le donne occuparono velocemente, ma che ugualmente in maniera rapida, quando il gusto non le richiese più, sparirono. Tra questi ricordiamo la modista, l’orlatrice, la guantaia, l’ombrellaia, la passamantiera, ma anche la lavoratrice addetta alla creazione di soli polsini o colletti o occhielli, ecc.
L’attività nel settore generalmente iniziava come piscinina o piccinina, bambina o giovinetta (dagli otto ai sedici anni), che aiutava la sarta o la modista o la camiciaia, ecc. e che “recava le compere o gli indumenti stirati alle clienti, in una tipica cesta a fondo piatto rivestita talora d’incerato, o di tela” per poi passare al lavoro vero e proprio che conosceva gerarchie di carattere sociale ed economico, ma che comunque comportava povertà e marginaltà.
Uno tra i mestieri più poveri, ed alla base della piramide sociale del comparto, era quello della frangiaia. Alcune donne, infatti, erano adibite alla realizzazione delle frange di sciarpe o scialli, o dei fiocchetti per i bordi di tende ed articoli di tappezzeria. Questo lavoro era considerato il più misero fra tutti, poiché non richiedeva conoscenze particolari né comportava l’uso o l’acquisto di strumenti di lavoro costosi; originava, però, un forte sfruttamento del lavoro delle donne che, a domicilio, per lunghe ore, spesso notturne, confezionavano faticosamente in telai detti “telaroni” articoli di passamaneria per divise militari (galloni e passamani), per orlature di abiti preziosi (spighette e trecce), per le scarpe che i calzolai completavano (frange e fettucce elastiche) e per mobili ed arredamento (bordi e cordoncini).
Ad un livello più elevato si situavano le cravattaie o le ombrellaie che lavoravano al telaio a mano o al telaio jacquard, che permetteva la creazione di tessuti di seta o di lana e seta per la produzione di cravatte o del rivestimento degli ombrellini da sole secondo il gusto e le direttive della moda di fine Ottocento
Antico telaio
Seguivano, nella piramide, le lavoranti di nastri di seta, articolo di lusso per i ceti borghesi ed aristocratici (l’industria dei nastri, attività ricca ed alimentata dalle tendenze della moda, era in origine in mani maschili con lavoratori organizzati in associazioni e contrari all’ingresso delle donne nel settore; essi non riuscirono, però, ad allontanare la manodopera femminile anche nel lavoro di tessitura e nel 1896 si ebbe anche l’ingresso delle donne nella Lega di tutela dei lavoratori), e poi le modiste o lavoratrici in bianco che confezionavano capi di biancheria, busti, sottovesti
Al vertice, infine, si situavano le sarte, che cucivano un abito intero ed erano ad un grado socialmente più elevato ed economicamente stavano meglio poiché non dipendevano da terzi, ma lavoravano in proprio.
Accanto, comunque, ai mestieri citati ve ne erano altri occupati da donne, quali le guantaie, le calzaturiere e le produttrici di altri articoli di pelletteria, quelle che con gli aghi facevano calze di seta di torciglia, ecc., lavori sempre tra i più umili e scarsamente pagati.
Altro segno del livello sociale era la distinzione tra il cucire a mano e a macchina, poiché l’introduzione di questo strumento aveva comportato un deprezzamento del valore del lavoro manuale.
La maggioranza di queste donne lavorava nel proprio domicilio in abitazioni vecchie e malsane, spesso a cottimo con perdite di salario se la produttività non era quella prevista dal datore di lavoro. La giornata lavorativa, inoltre, non era continua poiché, lavorando in casa, la cucitrice era sottoposta ad ogni tipo di interruzione (faccende domestiche, cura dei figli, ecc.) e per reggere lo standard di produzione previsto essa era costretta a lavorare di notte, o si faceva aiutare dalle bambine che aveva, tracciando per le stesse un futuro spesso di miseria e minato nel fisico da tisi e tubercolosi.
Nel giro di pochi anni, però, la fabbrica assorbì con il lavoro in serie una grande quantità di manodopera femminile riducendo al minimo il lavoro in proprio ed il lavoro a domicilio, che rimasero in alcuni particolari rami di attività.
Esisteva, comunque, un largo strato della popolazione femminile inserito ufficialmente nella categoria delle “massaie” che, in realtà, a domicilio, in modo saltuario e discontinuo, continuava a lavorare di cucito senza tutela e con guadagni da fame.
Per contrastare questa misera realtà, le donne cominciarono ad organizzarsi. Risale al 1883 la fondazione a Milano del primo sindacato femminile di categoria, quello delle orlatrici (ad opera di Paolina Schiff, una delle prime docenti universitarie del Regno), cui seguì quello delle lavoranti in nastri; un’organizzazione di cravattaie e lavoranti di tessuti elastici si ebbe nel 1892, mentre è del 1863 la costituzione, a Torino, di un’Associazione di miglioramento tra sarte, modiste e cucitrici in biancheria, che diede vita ad un esperimento cooperativo.
*Alcuni degli antichi mestieri
L'Affittatore era il noleggiatore di cavalli. Se ne trovavano verso la Marina.
L'Ammazzapiecure faceva un mestiere certamente non gratificante. Egli girava per le case nel periodo pasquale con gancio e coltello, per ammazzare, “’o pecuriello" che ogni famiglia comprava per devozione …, lo cresceva, nutrendolo al meglio, per servirsene, poi, come piatto principe, per il pranzo pasquale. Spesso, quando arrivava l'ammazzapiecure, succedevano nelle famiglie tragedie greche… . I bambini, che frattanto si erano affezionati al pacifico e docile animale che, da parte sua, li guardava con occhi teneri e, direi, imploranti, perché io credo che gli animali sentano l'avvicinarsi della morte violenta, piangevano e si disperavano perché 'o pecuriello non venisse ammazzato. Era semplicemente uno strazio.
L’Arraganatore era il tintore di panni, che usava l'arganetta, una pianta colorante.
L'Ammolafuorbice era l'arrotino che spingeva un carrettino che recava la mola per affilare le lame.
L'Acchiappacane liberava le strade dai cani randagi, pericolosi per la rabbia o per l'echinococco che potevano trasmettere. Lanciava una specie di lazzo che si stringeva intorno all'animale che agevolmente poteva essere acchiappato.
L’Arriffatore offriva, a chi acquistava un numero, ogni ben di Dio che mostrava in una capace cesta. Quando aveva venduto in giro i novanta numeri, ne estraeva uno dal "panariello". Il possessore si accaparrava quanto offerto nella riffa (dallo spagnolo rifa).
L'Acquavitaro era un ambulante che d'inverno vendeva acquavite, mentre d'estate vendeva acqua fredda.
L'Acquaiuolo ambulante vendeva acqua fredda con succo di limone o arancia o col senso di anice.
L'Acquaiuolo fisso, che spesso era una procace acquaiola, aveva un chiosco dove versava nei bicchieri l'acqua di MUMMARA, cioè l'acqua "zuffregna" del Chiatamone che veniva raccolta in capaci recipienti di coccio e veniva servita con una punta di bicarbonato. In una bella canzone antica, il prorompente seno dell'acquaiola, giocando sui doppi sensi, veniva accostato alle mummare ... .Inoltre, l'acquaiuolo vendeva l'acqua di Telese che piaceva tanto ad alcuni, mentre ad altri dava l'impressione di bere uova marce.
*Altri 10 lavori che non esistono più
Professioni che scompaiono con l’evolversi della società: lattaio, cacciatore di topi, centralinista.. ma anche idee per reinventarsi un mestiere! Cerchi lavoro o vuoi aprire un’attività?
Se ancora non sai in quale settore puntare puoi andare ad esclusione e tralasciare questi lavori di una volta, che però – oltre a suscitare nostalgia per tempi lontani – possono anche dare un’idea per riciclarli in chiave moderna e reinventarsi un lavoro!
1 -
Prima dell’avvento dei moderni frigoriferi non esisteva la possibilità di produrre il ghiaccio, e così si andava letteralmente a raccogliere il ghiaccio (o la neve) per poter mantenere al fresco i prodotti.
2 -
Un altro lavoro scomparso con l’arrivo del frigorifero fu quello del lattaio: non potendolo mantenere in casa, veniva consegnato fresco tutti i giorni.
Avrete notato questa figura in tanti film americani degli anni cinquanta, vero? E magari vi sarete chiesti come mai qui non c’è? Perchè è stato sostituito dal frigorifero.
3 -
Un lavoro dallo spirito romanzesco e forse nobile era il lettore di libri per operai.
In alcune grandi fabbriche, dove le mansioni erano ripetitive e alienanti, un oratore si impegnava a leggere libri e riviste ad alta voce per intrattenere gli operai durante il lavoro.
Paradossalmente c’era più attenzione per la cultura allora che oggi.
Probabilmente non tutte le letture erano permesse: il Capitale di Marx o altre letture che denunciassero il capitalismo sicuramente non erano nella lista dei libri da leggere!
4 -
Il raddrizzatore di birilli del bowling. Prima della meccanizzazione di ogni aspetto della vita umana alcune comodità non esistevano, e bisognava arrangiarsi manualmente.
Come nel caso del bowling: tanti ragazzini venivano impiegati per rimettere a posto i birilli abbattuti da uno strike o un altro tiro.
Si mettevano in fondo alla pista, aspettavano il tiro e rimettevano in piedi i birilli. Se trovate questa qualifica in un curriculum significa che chi sta cercando lavoro è molto avanti con gli anni!
5 -
La sveglia umana, ovvero la persona che andava in giro per le vie della città, bussava alla finestra e svegliava la persona che lo aveva incaricato. Prima delle sveglie meccaniche, prima dei cellulari con sveglia incorporata ci si arrangiava così.
Ovviamente se non esistevano campanelli ci si arrangiava in qualunque modo pur di svegliare il cliente, e spesso utilizzavano bastoni lunghi diversi metri per arrivare a bussare alle finestre dei palazzi.
Oggi esistono le app, ma non tutti i meno giovani hanno uno smartphone o hanno la certezza di impostare bene una sveglia: in città ora esistono quelli che fanno la fila al posto tuo. Quella di andare anche a svegliare la gente potrebbe essere un servizio aggiuntivo!
6 -
Il log driver, o il trasportatore dei tronchi: un po’ come al tempo degli schiavi d’Egitto che spostavano le grandi pietre sistemando dei tronchi rotolanti al di sotto di essi.
Questa categoria di lavoratori si occupava di spostare i grandi tronchi di legno dalle foreste dove venivano abbattuti gli alberi fino alle segherie, e poi anche attraverso il fiume. Oggi sono stati sostituiti da mezzi a motore.
Ma se i carburanti continuano a salire di prezzo quello di sfruttare il trasporto naturale via fiume potrebbe essere ancora una valida idea per creare un’attività…
7 -
Con lo sviluppo demografico concentrato nelle città sovrappopolate il pericolo delle malattie infettive era molto alto, causato dalle cattive condizioni igieniche.
I topi erano tra i maggiori portatori di malattie, ed esistevano delle figure professionali dedite alla caccia ai roditori.
Forse non c’erano abbastanza gatti.
8 -
Il centralinista (vecchia maniera), ovvero l’operatore telefonico che rispondeva all’apparecchio e poi connetteva il cavo alla linea dell’utente finale.
Fino all’inizio degli anni sessanta non esisteva ancora la possibilità di chiamare direttamente un numero telefonico finale e le aziende utilizzavano delle macchine che richiedevano l’intervento manuale per gestire le chiamate: l’operatrice rispondeva alla chiamata e connetteva la presa al circuito che collegava la linea al destinatario finale.
Prima dell’avvento delle chiamate dirette, per le chiamate a lunga distanza il centralinista doveva lavorare in parallelo con il centralinista all’altro capo dell’apparecchio.
9 -
Un altro lavoro cancellato dalla tecnologia (e speriamo non solo da quella) era il radar umano, ovvero l’ascoltatore di aerei nemici: durante la guerra furono moltissime le città e i paesi bombardati e per azionare in tempo la sirena di allarme bisognava rimanere all’erta.
Prima dell’invenzione del radar ci si arrangiava in questo modo, con questi rudimentali apparecchi acustici che amplificano i rumori e permettevano alla sentinella di ascoltare a distanza.
Non era sicuramente facile, ed era certamente un lavoro sfibrante e di grande responsabilità: ogni secondo guadagnato significava più persone che riuscivano a mettersi in salvo!
10 -
In america venivano anche chiamati grave robbers, l’equivalente del nostro tombarolo. In sostanza andavano nei cimiteri, scavavano nelle tombe, recuperavano il defunto e vendevano il corpo a università e centri medici per le loro ricerche scientifiche.
Questa categoria di lavoratori lavorava ai limiti della legalità ed era alla ricerca di corpi di proprietà di nessuno.
Solo l’Anatomy Act del 1832 giunse a regolamentare questa pratica e questa categoria di lavoratori non potè più “lavorare” alla luce del sole…
*Che cos’è un mestiere?
“L’attività specifica , di carattere per lo più manuale, esercitata abitualmente e a scopo di guadagno”
Oggi possiamo parlare ancora di mestiere? Oppure dobbiamo parlare di artigiani? Fino a qualche anno fa quando una persona esercitava un lavoro di tipo manuale per guadagnarsi da vivere veniva indicato come esercitatore di un “Mestiere” e spesso si individuava con il mestiere esercitato (lu zu Cola lu salaru perché vendeva il sale) oppure il mestiere lo si abbinava all’oggetto lavorato (lu zu Nofriu lu curdaru perché produceva corde). Due antichi mestieri. Antichi mestieri ormai estinti o forse qualcuno rimane ancora quasi per farci ricordare il nostro passato e la fatica che, i nostri padri o i nostri nonni, giornalmente vivevano per portare a casa un tozzo di pane frutto del loro sudore o ingegno. Tanti di questi antichi mestieri manuali oggi sono scomparsi perché con l'ausilio dell'elettronica e della tecnologia i prodotti che loro offrivano vengono fabbricati più facilmente e molti sono stati soppiantati nel loro uso da altri più consoni alle nostre esigenze. Tanti altri mestieri sono in via di estinzione, poiché al giorno d'oggi non hanno più quella originaria importanza economica e altri sono cambiati radicalmente nella loro specificità iniziale.
L'ammolacuteddra (l'arrotino) che con la sua bicicletta particolare fornita di mola ad acqua si fermava nei quartieri popolari per arrotare coltelli e forbici. Spesso a questa attività allegava anche la riparazione di paracqua (parapioggia e ombrelli).
Lu Bombolonaru (il bombolonaio) con la sua bicicletta/triciclo a punta, come quella del gelataio, preparava la pasta ancora calda fatta di zucchero e caramello colorato.
Lu Calafataru (il calafato) erano coloro che incatramavano i gozzi, le barche di legno che servivano per la pesca. Quando le barche da pesca erano costruite solo di legno, i Calafatari per evitare le infiltrazioni d'acqua introducevano, tra le fessure di una tavola e l'altra dello scafo, della stoppa di canapa che successivamente impermeabilizzavano con del catrame. Questo nobile mestiere, tramandato di padre in figlio, esiste ancora oggi ma ormai i Calafati sono molto rari perché oggi i pescherecci o le barche sono costruite in ferro o in vetroresina (specialmente quelle da diporto).
Lu Cantastorii (il cantastorie) è una delle figure più importanti della tradizione orale siciliana e della cultura popolare. I cantastorie (menestrelli, cantanti e affabulatori) si aiutavano con la raffigurazione, su un cartellone, delle principali scene della storia e di uno strumento (chitarra, fisarmonica ecc.). Si spostavano di piazza in piazza. Alla fine delle loro esposizioni avveniva la raccolta, con il classico cappello, delle offerte oppure c'era la vendita di dischi, con le loro storie, oppure di gadget vari.
Lu Carritteri (il Carrettiere)
figura mitica dell'iconografia siciliana era l'antico trasportatore di merci varie prima della nascita dei mezzi di trasporto meccanici. Era lui il conducente (l'autista) del carretto trainato da muli o cavalli. Era un personaggio un pò particolare perchè viveva per la strada, in quanto i viaggi duravano tanto, e sopportava disagi di ogni sorta. In Sicilia a volte serviva a trasportare anche i familiari e ciò portò il carrettiere ad abbellire il carretto fino a diventare una sorta di status simbol. Più decorazioni aveva il carretto meglio stava il proprietario. Fino agli anni sessanta non era difficile incontrare ancora carretti in circolazione.
Lu Carraturi (il Carradore) questo mestiere antico individuava colui che concludeva l'opera di costruzione del carretto infatti provvedeva ai fusi, alle balestre e alle ruote. Con l'aiuto di pialle, asce, seghe e scalpelli metteva "su strada" carrozze e carretti.
Lu Carvunaru (il carbonaio)
dopo aver raccolto la legna, la predisponeva in apposti fossati dove l’accatastava in modo da costruire una struttura conica e successivamente la ricopriva di terra in modo che la cottura avvenisse con poca aria favorendo la trasformazione della legna in carbone dopo l’accensione del fuoco tramite una piccola fessura (purteddu). Dopo una lenta combustione che durava giorni e giorni provvedeva allo spegnimento con l’acqua ed all’insaccamento del carbone. Spesso si indicava con questo nome anche il venditore di carbone.
Lu Conzalemma (l'acconciaterraglie) è una figura completamente scomparsa. Il Conzalemmi era un riparatore di articoli di terracotta, incollava i cocci con mastice e fil di ferro e attraversando i paesi richiamava ad alta voce i propri clienti invitandoli ad affrettarsi.
Lu Cunziaturi (pescatore con palamito) è la figura di pescatore che usa il conzo
(detto anche palangaru o palamito) quest'arnese è costituito da lenze portanti spesse (lettu) da cui partono i vrazzoli (pezzi di lenza) forniti di ami. La bravura del Cunziaturi consiste nell'innescare gli ami che vengono raccolte in bell'ordine dentro apposite casse o ceste (carteddri). I conzi successivamente vengono calati orizzontalmente in mare ancorate al fondo oppure alla deriva a mezzu funnu e controllati a vista. Con i palangari fissi si hanno come bersaglio i saraghi, i dentici, i merluzzi mentre con i palangari derivanti si hanno come bersaglio i pesci spada ed i tonnidi.
Lu Curdaru (il cordaio) generalmente intrecciava per strada, con canapa e spaghi, corde per la pesca e l’agricoltura. La sua abilità consisteva nel coordinare i movimenti delle mani e dei piedi perché una volta fissata la parte iniziale della corda ad un anello, attaccato al muro, il rimanente lavoro di intrecciamento lo svolgeva indietreggiando. Si serviva inoltre di altre persone, generalmente ragazzi, che contemporaneamente avvolgevano tramite una ruota girata a mano le funi.
Lu Custureri (il sarto) è un mestiere che richiede proprietà innate per poter raggiungere alte vette di bravura e successo. Lu custureri ti faceva scegliere la stoffa, tagliava e cuciva abiti su misura perfetti. Ormai sono rimasti in pochi i "Couturier" perché adesso con l'avvento del "prêt-
Lu Gnuri (il Cocchiere) il conduttore di carrozza una figura scomparsa con l'avvento dell'automobile. Veniva spesso chiamato dalle persone, prive di mezzo di trasporto, per essere condotti alla stazione o al cimitero. Insomma era il vecchio taxista a cui veniva affidato il servizio di trasporto urbano di persone.
La Lavannara (la lavandaia) lavava la biancheria degli altri. Quando non esisteva la lavatrice queste donne erano preziosissime per le famiglie in cui la donna era ammalata e non poteva lavare i panni. Di questo servizio usufruivano anche le famiglie benestanti che potevano permettersi di pagare. Mestiere duro e faticoso svolto con tanto "olio di gomito". A tante donne, specialmente vedove, ha permesso di sbarcare il lunario.
Lu Nassarolu (pescatore con nasse) è uno dei mestieri più antichi. Uno bravo doveva innanzitutto raccogliere il giunco giusto, sapersi costruire le nasse e sapere che tipo di pesce voler pescare. Le nasse sono, generalmente, costruite con giunco e germogliazioni d’ulivo, rappresentano delle trappole per il pesce. Il sistema d’entrata è fatto in modo che il pesce una volta entrato non riesce più ad uscire. Per catturarlo si usano delle esche (teste di gamberi, sarde, pulci di mare ecc.) che messe all’interno della nassa, attirano il pesce. Vengono calate in mare in serie legate tra di loro con una corda e fornite di màzzara (un peso per tenerle ancorate in fondo) e vengono segnalate con un galleggiante con banderuole. Una nassa può catturare anche 80 Kg di pesce e di qualsiasi specie, a seconda della grandezza della stessa, dal tipo di esca usata e dalla caratteristica del fondo dove viene calata.
Lu Palummaru (il palombaro) l'antico mestiere del palombaro oggi è in disuso perché si va in fondo con bombole o altre attrezzature più sofisticate. Il "vecchio" palombaro utilizzava un'attrezzatura apposita lo scafandro, appesantito da vari pesi di zavorra, di cui la parte più importante era l'elmo tramite il quale riceveva sostentamento di aria dalla superficie infatti era collegato da un tubo conduttore. Anche le scarpe erano zavorrate con piombo modellato sullo scarpone.
Lu Pirriaturi (cavatore di tufo) prende il nome dalle cave di tufo (pirreri). Il pirriaturi doveva essere di fisico forte in quanto era un lavoro molto duro specialmente quando si segava a mano prima dell'avvento delle seghe elettriche. Le misure del tufo erano: li cantuna vero e proprio, la chiappetta, la chiappa, lu timpagnolu e lu sirratizzu. E' stato un mestiere ad arte, dove si aguzzava l'ingegno per dominare il tufo e non finirne succubi e l'abilità del pirriaturi consisteva nel "trinciari i cantuna" (tagliare i tufi) secondo linee perfettamente parallele e tanto velocemente da sorpassare il compagno di lavoro più vicino, evitando così il fastidio della polvere da lui sollevata, e guadagnare di più perché prevaleva il cottimo.
Lù Purèiaturi (il pescatore di polpi) anche quest'attività è un mestiere e non è da tutti esercitarla. Per prima cosa bisogna munirsi di fiocina e specchio. La fiocina è composta da un pettine di ferro o acciaio con denti lunghi che terminano ad aletta e da un manico pesante e lungo tre o quattro metri. Lo specchio è formato da un cilindro di lamiera zincata aperto dalla parte superiore e recante un vetro sigillato ermeticamente nella parte inferiore che immerso appena sotto la superfice del mare permette una visione chiarissima del fondo del mare. E' un lavoro di pazienza e di bravura sia nell'individuazione della tana sia per stanarlo sia per trafiggerlo. Bisogna tenere presente che il polpo è uno degli animali marini più intelligenti. La pesca avviene comunque sotto costa.
Lu Salinaru (chi opera nelle saline) sono i coltivatori del sale uno dei mestieri più antichi che ancora oggi questi lavoratori accompagnano con gesti semplici, giorno dopo giorno da vasca a vasca, l'acqua del mare che diventerà sale. La costa della Sicilia occidentale che da Marsala arriva a Trapani è un susseguirsi di saline con i loro caratteristici mulini a vento. Le saline con l'acqua madre color rosa antico ed i Salinari con le loro carriole raccogliere il sale, ed ancora oggi passare qualche ora a guardare le saline, i salinari, i mulini e le montagnole di sale affascina sempre.
Lu Salaru (il venditore ambulante di sale) si differenzia dal salinaro in quanto questo era l'uomo che vendeva il sale con il carretto o con il camioncino andando in giro per i paesi abbanniannu: aiu lu sali, sali, sali marino!
Lu Scarparu (il calzolaio o ciabattino) mestiere antico anche questo ma mentre negli anni cinquanta aveva come attività principale fare scarpe su misura (quindi calzolaio) oggi sono rarissime le persone che si fanno fare le scarpe su misura che allora rappresentava l'attività principale. Oggi principalmente lo scarparu ripara le scarpe (ciabattino): mette sopratacchi, risuola o ripara qualche cucitura. Ecco gli attrezzi: l'affilatissimo coltello (lu trincettu), la lesina, le forme di ferro e di legno (li furmi), il particolare martello, la tenaglia, l'ago (avugghia), i vari tipi di chiodi, l'uso della cera che portava un apicoltore. Altri sono: la risolatura delle scarpe dei contadini con chiodi dalla grossa testa ed i ferretti che si usavano per non consumare velocemente punte e tacchi. La bravura e la precisione degli scarpari ha permesso che la scarpa italiana fosse apprezzata in tutto il modo e di questa fama oggi ne usufruiscono i grandi industriali rimorchiati dalla nostra antica tradizione.
Lu Siggiaru (l'aggiustasedie) di solito pur avendo una piccola bottega ricavata da una stanzetta a piano terra di casa sua, egli svolgeva il suo lavoro per strada davanti la casa del cliente che lo aveva chiamato oppure in un angolo o una piazzetta del rione popolare dove aveva richiamato ad alta voce i propri clienti. Con vari tipi di paglia, martello, chiodi, raspa e colla riparava ed impagliava le sedie. Chi ci crederebbe al giorno d'oggi che esistevano queste figure? Eppure erano insostituibili perché le famiglie riparavano ciò che si rompeva.
Lu Stagnataru (lo stagnino) anche lu stagnataru possedeva spesso una piccola bottega ma anche lui non disdegnava di fare questo lavoro per le strade. Le massaie facevano stagnare specialmente le quarare e le padelle per isolare il cibo dal rame della pentola ed evitare la tossicità del rame a contatto con gli alimenti. Con una piccola fucina a carbone ed un bastoncino di stagno spalmava tutta la superficie della padella. Altri stagnini operavano per lo più in laboratorio per riparazioni ed opere attinenti al lavoro di altri artigiani e qualcuno si dedicò principalmente alla riparazione di radiatori per auto.
Lu Stazzunaru (il lavoratore di argilla) mestiere antico quasi scomparso fabbricava mattoni, bummuli, quartari, tegole e altro. Nello stazzuni il lavoro iniziava all'alba con l'impastatura della creta con i piedi, poi una volta pronta, incominciava la lavorazione degli oggetti richiesti: tegole o mattoni. Dopo alcuni giorni di essiccazione gli oggetti di argilla fabbricati si mettevano nelle fornace per la cottura che durava una notte. Spettacolare era l'esposizione dei manufatti di argilla sotto il sole, belli tutti ordinati. Passavo ore ad ammirarle.
Lu Tammurinaru (il Tamburino) non è una figura completamente scomparsa perché ce lo ritroviamo in tutte le sagre, feste, processioni ecc. Fungeva da pubblicitario per promuovere un negozio che stava facendo particolari sconti, da cercatore se per caso qualcuno si era perso, da promotore di iniziative varie. Era un personaggio ascoltato da tutti quando passava per le strade della città ed una festa per i bambini che lo seguivano e che man mano aumentavano di numero incantati dal ritmo del tamburo.
Lu Uttaru (il bottaio) un antico mestiere di privilegiati perché fare il bottaio non è da tutti ci vuole precisione ed esperienza in quanto le doghe devono essere ben piallate e messe una accanto all'altra senza alcuno sfiato unite da cerchi di ferro. "Un corpu a la vutti e unu a lu timpagnu" (un colpo al cerchio ed un altro alla botte) per indicare la precisione con cui i mastri bottai devono contemporaneamente sistemare le doghe ed arcuare il ferro di sostegno. Rovere e castagno sono i legni preferiti dai bottai per contenere i nostri pregiati vini lavorati e liberati dal tannino che potrebbe trasferirsi al vino. Purtroppo anche le botti piano piano vengono sostituiti da contenitori d'acciaio o di vetroresina ed il mestiere del bottaio mano mano sta scomparendo.
Lu Vardaru (il Sellaio) produceva selle e ornamenti per cavalli e muli. Ebbero un ruolo fondamentale al servizio dell'agricoltura e del trasporto in genere. Grazie alla loro inventiva nacque l'attacco degli animali da tiro che permise di sfruttarne tutta la forza proveniente dal pettorale e dall'incollatura. Si ebbero così arature più profonde e carichi più pesanti trasportati con minor sforzo. Per bardare gli animali da cavalcare, preparavano eleganti selle da cavallo. Per il tiro pesante al carretto costruivano staffe, sottopance, redini, bisacce, paraocchi, collari e finimenti vari.
Lu Vastasu (il facchino, portabagagli) trasportava, nelle stazioni o nei porti, valigie, casse e bagagli vari in cambio di qualche mancia. Adesso è stato sostituito dai carrelli. (Fonte: Andrea Asaro)
Buon lavoro a tutti Il Coordinatore Didattico
Sr.Maria Aurelia O.P.